Educare alla pace e alla non violenza

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Mons. Corrado Loreficen è arcivescovo metropolita di Palermo. Il 29 marzo 2025 ha tenuto questa lezione per i giovani del MED 25 presso la Facoltà di Teologia della Sicilia. 

 

Cari giovani del Progetto MED 25, cari amici qui riuniti,

Vi saluto con amicizia e affetto fraterno, a nome della comune umanità che ci riunisce oggi, donne e uomini desiderosi di comunione e di futuro. Comunione e futuro. Perché senza l'esperienza del nostro incontro in un koinonia, in una vita e in un destino che ci riguardano tutti, non siamo uomini e donne, non siamo umani. Senza l'attesa del futuro, senza questa apertura immediata e corporea verso un domani che sia tutt'uno con il nostro desiderio di vivere, l'umanità non esiste, l'umano non è dato. Oggi siamo qui interpellati da ciò che, nella nostra esistenza, è più lontano da questo orizzonte costitutivo: la guerra. Guardiamo il mondo scosso da guerre lunghe, drammatiche, spesso silenziose e velenose. Ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie i flagelli della guerra in Congo e in Siria.

La nostra casa comune, sempre più piccola e interconnessa, rischia oggi di tradire la sua intrinseca vocazione di giardino armonioso di vita e di relazioni fraterne e pacifiche, spazio di comunione e di futuro. Una casa comune che sta per trasformarsi in un campo di battaglia dove tutti sono contro tutti.

Voi, cari giovani del Progetto Med25, siete l’espressione e il segno della speranza certa di questo desiderio di comunione e di futuro. Siete di nazionalità, lingue, culture e religioni diverse. La vostra barca a vela Bel Espoir, che ha iniziato a solcare le acque del Mediterraneo, attraccherà e unirà le cinque sponde che lo costeggiano: Nord Africa, Medio Oriente, Mar Egeo, Balcani ed Europa latina. Voi siete segno di una diversità fertile, generatrice di comunione e di un futuro di pace.

Il 27 ottobre 1986, nel contesto della Guerra fredda e di un clima minaccioso, Giovanni Paolo II indisse ad Assisi una Giornata mondiale di preghiera per la pace, alla presenza dei rappresentanti di tutte le principali religioni del mondo: 50 rappresentanti delle Chiese cristiane e 60 rappresentanti di altre religioni mondiali. In questo incontro i credenti di tutte le religioni del mondo hanno pregato per la pace nella città di Saint-François. fianco a fianco, di fronte all'orrore della guerra. Il 29 ottobre, davanti a un gruppo di rappresentanti di religioni non cristiane, il Papa ha dichiarato: “Continuiamo a diffondere il messaggio di pace. Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi.

Gli eventi attuali della Casa Comune testimoniano il desiderio dei «grandi di questo mondo» di ritornare al secolo scorso - in balia della sete di potere secondo lo «spirito di Babele» (cfr Gen 11,1-9) - con la sua logica che ha portato a due funeste guerre mondiali. Soprattutto, guardando al secolo appena trascorso, vorrei sottolineare il valore paradigmatico dell'evento che ebbe luogo ad Assisi nel 1986, quasi quarant'anni fa. Lo “spirito di Assisi” non presuppone la logica del “minimo comune denominatore”, cioè “ un accordo su un punto di partenza comune. […] pregare insieme non significava questo […] il gesto di Assisi non implica innanzitutto apertura, dialogo o altro, ma comunicazione nella differenza. Ad Assisi, cristiani e membri di altre religioni comunicavano nell'aspetto più intimo dell'esperienza religiosa, la preghiera, lasciando intatta la diversità delle loro preghiere. I gesti comuni, il pellegrinaggio comune, il digiuno comune, la conclusione comune erano lì per mostrare che ciò che era specifico di ciascuno, la preghiera, non veniva fatto senza l'altro o accanto all'altro, ma con l'altro. La differenza religiosa veniva celebrata in comune come pratica di pace. (G. Ruggieri, Cristianesimo, Chiese e Vangelo, 167.169).

Se siamo qui oggi è perché è cresciuto dentro di noi "la convinzione che la guerra è una grande follia e che il dialogo è la medicina del conflitto. Ancora più di ieri, siamo convinti che la pace è un grande ideale che può ispirare le politiche e le vite personali. La pace è un ideale che viene disprezzato in troppe regioni del mondo: deve risorgere! La pace è il grande ideale delle società vuote e senza ideali. (A. Riccardi, Le parole della pace, 258-259). Teniamo ben salda nel cuore la determinazione di una “comunicazione nella differenza”, di un dialogo tra persone diverse come “prassi di pace”.

Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, nato nell’incantevole cittadina di mare di Pozzallo, in quella grande zattera galleggiante che è la Sicilia – come ci ha ricordato Papa Francesco a Marsiglia il 23 settembre 2023 – "Egli leggeva nel Mediterraneo non una questione di conflitto, ma una risposta di pace, anzi 'l'inizio e il fondamento della pace tra tutte le nazioni del mondo' (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 ottobre 1958). LLa risposta […] è possibile se consideriamo la comune e, per così dire, permanente vocazione storica che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nel futuro ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso, dilatato lago di Tiberiade che è il Mediterraneo. (Discorso di apertura del primo Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958).

Il Mar di Galilea, o Mar di Tiberiade, era un luogo dove, al tempo di Cristo, si concentravano una grande varietà di popoli, culti e tradizioni. Fu lì, nella «Galilea delle genti» (cfr Mt 4,15), attraversata dalla via del mare, che si svolse la maggior parte della vita pubblica di Gesù. Fu in un contesto multiforme e per molti aspetti instabile che avvenne la proclamazione universale delle Beatitudini, in nome di un Dio Padre di tutti, che “fa sorgere il suo sole sui malvagi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45). È anche un invito ad ampliare i confini del cuore, superando le barriere etniche e culturali. Ecco allora la risposta che viene dal Mediterraneo: questo perenne Mare di Galilea invita a contrapporre alla divisione dei conflitti la «convivialità delle differenze» (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). Il mare nostrum, all'incrocio tra Nord e Sud, Est e Ovest, concentra le sfide del mondo intero, come testimoniano le sue "cinque sponde".

Prima di essere un mistero, la guerra è una scelta. La cecità che la guida ha un movente profondo, una fonte nascosta. Per comprenderlo e trarre la giusta energia per contrastarlo, dobbiamo ritornare al corpo, ai corpi. Ritorniamo ai corpi. Il corpo – lo sapevano già i Romani, lo sapeva anche Paolo – non vuole divisioni. Funziona solo perché le sinapsi si uniscono. E se l'Alzheimer è la scissione, lo scoppio delle sinapsi, allora chi decide di muovere guerra ha una forma di Alzheimer. Nella sua mente, gli ambiti della cura e dell'amore si sono appiattiti. E si sono separati dalle zone di forza, il che degenera in violenza. Bisogna dirlo: la guerra nasce da una mente malata di una particolare forma di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la sapiente tenerezza degli anziani. Ti fa dimenticare l'odore di una comune mensa. La freschezza di un sorriso.

I corpi sono anche marchiati dal sigillo della “mancanza” che genera violenza, che rende la guerra ammissibile, praticabile. Ma solo i corpi possono resistere. Possiamo fare appello solo ai corpi, perché è nei corpi che risiedono le energie più profonde e curative delle ferite della creazione. Il nostro compito di operatori di pace, il nostro cammino di donne e uomini di pace, consiste in ultima analisi nel non permettere che il dolce canto dei corpi che amano e sono amati scompaia dalla terra. Nell'inferno in cui viviamo, dobbiamo ricordare a tutti che nel cuore umano c'è il desiderio di amare e di essere amati. Forse il nostro compito è dire a ogni madre e a ogni padre: ama tuo figlio, amala veramente, pienamente, amala così tanto che il suo corpo diventi un corpo d'amore. Ricordiamo che là dove i corpi si uniscono per agire sulla società, per rappresentare le richieste degli altri, per costruire "corpi intermedi", lì sono piantati i semi di una logica di mediazione opposta alla logica della guerra. Ricordatevi che dove i corpi si riconoscono e dialogano, sulla base della loro verità, dei loro miti, delle loro storie, ascoltati e rispettati, lì la guerra è impossibile. Le carezze materne e paterne, il sapore dello sguardo amico, le strutture di intermediazione umana, il dialogo tra i popoli, il dialogo tra le religioni costruiscono le premesse di un mondo nuovo che continuiamo a sperare, a sperare contro ogni speranza, e che continuiamo a ricordare. L'alto monte di Isaia, la città della pace, è la nostra patria, non i campi di battaglia. Il canto degli uccelli e i canti dell'amore ci appartengono, non il suono delle sirene, non il ruggito, il frastuono delle armi.

Il progetto di pace ha bisogno di audaci tessitori di dialogo, costruttori di ponti di riconciliazione. Abbiamo bisogno di un dialogo internazionale e di un dialogo quotidiano. L'invocazione che ancora oggi possiamo rivolgere ai «capi dei popoli belligeranti» è forse quella che Giorgio La Pira lanciò nel suo articolo pubblicato nel dicembre 1967 e intitolato Per la pace in Medio Oriente, in «Note di cultura», 1968, pp. 55-60. Lo stesso articolo è stato ristampato con il titolo Abbattere i muri e costruire ponti nel volume Unità, disarmo e pace, Cultura editrice, Firenze 1971, pp. 83-89. Queste parole sono di grande attualità oggi, non solo perché si riferiscono al conflitto israelo-palestinese, ma anche a causa dell'attuale situazione di disgregazione della comunità internazionale: " Per quello, scrive La Pira, non dare al mondo attuale la prova del grande fatto che definisce l'attuale epoca storica: il fatto che la guerra, anche quella "locale", non risolve, ma aggrava i problemi umani; che ormai è uno strumento scomparso per sempre; e che solo l'accordo, la trattativa, la costruzione comune, l'azione comune e la missione comune per la comune elevazione di tutti i popoli, sono gli strumenti che la Provvidenza pone nelle mani degli uomini per costruire una nuova storia e una nuova civiltà...”.

Vorrei concludere citando il Vangelo secondo Matteo: “Molti falsi profeti sorgeranno e inganneranno molti; a causa del dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.” (Matteo 24:11-13).

Il vostro velo, cari giovani di Med25, è profumo di salvezza, di futuro, di comunione. Grazie per la vostra perseveranza, per la vostra resilienza. Venendo a Palermo, contribuisci a mantenere caldo l'amore nei cuori di molti. Altri cuori perseveranti e resilienti. Sorgi, costruttori di pace, beati, evangelizzatori in marcia della pace!

Pubblicato il 4 aprile 2025